La cultura della bellezza ed i suoi antichi segreti
Un po' di storia e archeologia
Il consumo di oli profumati è attestato in Etruria sin dal VII sec. a.C. dalla presenza di piccoli e preziosi recipienti destinati a questo uso. I profumieri etruschi catturavano l’odore da fiori, arbusti, erbe tra cui il nardo, il cardamomo, la maggiorana, il giglio, la rosa, l’alloro, il mirto e molti altri, con un procedimento simile all’antico metodo detto “enfleurage” antica tecnica estrattiva, che permette di trattare a freddo i fiori delicati come le rose, i gelsomini, le tuberose, le violette, i fiori di arancio e molti altri. Questa tecnica si basa sull’estrazione tramite un solvente in grado di assorbire gli oli essenziali. Gli Etruschi per creare gli unguenti aggiungevano all’essenza floreale un eccipiente liquido ricavato dalla spremitura delle olive immature, mentre dalla spremitura di uva acerba ottenevano la base alcolica necessaria alla creazione dei profumi, a cui aggiungevano sostanze fissative come le resine o il miele. Per quanto riguarda i riscontri forniti dall’archeologia, le ricerche condotte in questi ultimi anni sui vasi-contenitori hanno permesso di analizzare, negli aspetti complementari di produzione, consumo e smercio, tipi di agricoltura intensiva quali le coltivazioni dell’olivo e della vite. Dopo una prima fase in cui i contenitori di olio deposti nelle tombe principesche del Lazio e dell’Etruria risultano essere in massima parte di importazione, nel corso del terzo quarto del VII sec. a.C. inizia una produzione in loco di questi vasi, destinata nel tempo ad intensificarsi: si tratta non solo di contenitori di essenze odorose a base di olio, ma anche di recipienti destinati a contenere olio alimentare. E’ il momento in cui l’olio e il vino da beni preziosi di marca esotica, inclusi nel commercio di beni di lusso, diventano in Etruria prodotti di largo uso come attestano appunto i loro contenitori che diventano frequentissimi nei corredi tombali in età alto e medio-arcaica: particolarmente diffusi sono i piccoli balsamari in bucchero e in ceramica figulina, che imitano gli aryballos e gli alabastra corinzi di importazione.